giovedì 7 maggio 2009

SenzaUnaDestinazione

Elisabetta Bucciarelli, Io ti perdono
7 maggio 2009
Qui l'originale




Quanto si può perdonare nella vita? E soprattutto, siamo sempre consapevoli di chi attende un nostro gesto, una parola, uno sguardo che liberi dal peso invisibile di una colpa vera o solo percepita? Un tema importante e ingombrante, che rimane spesso irrisolto, che ci lascia quasi sempre il senso di qualcosa che non abbiamo portato fino in fondo. Nel nuovo romanzo di Elisabetta Bucciarelli, Io ti perdono (Colorado Noir Kowalski, 224 pagg. 14 euro, in libreria da oggi), questo stato dell’esistenza domina i passaggi fondamentali di un noir duro e appassionante, che trascina a ritmo incalzante in storie parallele di umane solitudini.
Sapori e scenari diversi: una bambina scomparsa nei boschi della Val d’Aosta, un mucchietto di ossa di donna trovato in un capannone, un giro di sfruttamento della prostituzione. La maternità, voluta e mancata, il desiderio e l’ossessione, la delusione che si fa disperazione. E poi lo stacco, il piano parallelo della vita di questa protagonista ormai seriale, Maria Dolores Vergani, ispettore di polizia ancora una volta al centro dei romanzi della Bucciarelli, che in questo quarto romanzo raggiunge una maturità esistenziale che le dà uno spessore tutto nuovo. Un salto all’indietro nella sua vita fino all’infanzia, e ancora il tentativo di dialogo con gli uomini, altro importante sottotesto del libro: la difficoltà di rapportarsi a una categoria che comunica in modo diverso e spesso non chiaro, che crea alibi dal nulla, che non va a fondo dei bisogni dell’altro, che sfugge e fugge. Un bel libro, da leggere e da pensare. 

Perché il perdono come tema forte a questo punto della tua scrittura?
Sto lavorando sul perdono da un po’ di tempo. Scrivo storie nere, mai consolatorie, senza finali chiusi, cercando di guardare il Male anche dalla parte che indubbiamente affascina e attira chi non riesce a sfuggirgli. Cerco di entrare nelle storie nere con l’animo di chi non ha preclusioni e non giudica. Mi avvicino al male e ne percepisco la forza. Spesso lo subisco, come succede a tutti nella vita. E non trovo risposte. Al perché della sua forza e della sua esistenza. Agli atti che induce a compiere. Mi sono chiesta cosa si possa fare per combatterlo, ho dato vita a un personaggio abbastanza forte per contrapporsi senza cedere troppo alle sue lusinghe. E poi ho pensato alle vittime. A chi sono, al loro dolore, a come possano, quelle che sopravvivono e i parenti, superare l’incontro con l’inaspettato orrore che la vita talvolta propone. Forse il perdono è una risposta. Forse può liberare in parte la mente da una trappola che le impedisce di guardare avanti. Non dimentica l’atto, non lo cancella, ma permette a chi l’ha subito di lasciare sullo sfondo chi l’ha compiuto. E’ un gesto di grande generosità. Prevede una totalità e una completezza che l’uomo di per sé non conosce. Una pienezza che è un traguardo, si raggiunge forse, dopo il cammino di una vita. Perciò indago il perdono, quello delle cose grandi, ma anche quello dei gesti piccoli. Quotidiani, che tutti noi abbiamo subito. Abbandoni, tradimenti, menzogne. Per superficialità, ignoranza o semplice cattiveria.

Tra i tanti sottotemi del libro – maternità, prostituzione, rapporti tra uomini e donne, un certo tipo di reminiscenza, indagine e scoperta allo stato puro – quale senti più vicina a te e quale alla tua protagonista?
Ho imparato a dare un nome alle emozioni molto tardi. Dunque il tema che mi sta più a cuore è l’educazione sentimentale delle donne. Cerco di parlare di come siamo in difficoltà a riconoscere i nostri bisogni, le necessità e gli stati d’animo. Capaci di accogliere, rimandare, attendere. Ma quasi mai di chiedere, pretendere, affermare. Se lo facciamo seguiamo ancora modelli rigidi e impostati. Soprattutto con chi non deve per forza amarci. Nel lavoro, nella vita di tutti i giorni. Questo è il tema più vicino a me. La Vergani invece, deve confrontarsi ancora con gli uomini e con la maternità. Per questo cerco di mescolare la sua inadeguatezza alle emozioni, con l’incapacità totale dei maschi “consueti” di essere presenti, trasparenti, sinceri. Di scandagliare le sue paure e le resistenze a fidarsi, a lasciarsi andare, a proporsi. La paura degli uomini di trasferisce immediatamente alle loro compagne. Alle fidanzate, alle mogli. Di questa paura sento sempre più la presenza intorno a me. Paura di rischiare, di rimettersi in gioco, di scoprirsi. Così è il mio personaggio. In Io ti perdono sarà alle prese con tre indagini molto complicate, ma allo stesso tempo con un’identica matrice che declina la paura e il femminile in modi differenti.

Quanta parte ha la solitudine nella vita dei tuoi personaggi?
Maria Dolores Vergani è una donna che conosce molto bene la solitudine. Non la teme, spesso la cerca. La sua è una solitudine molto rumorosa, per citare Hrabal. E’ partita con una squadra anomala, una corte dei miracoli divertente e scombinata, che l’assisteva durante le indagini. Un carnevale di pensieri e di colori. E poi, quasi fosse una metafora di crescita, ha abbandonato il superfluo per strada, con grande gratitudine e un certo sollievo, e ha proseguito appunto, da sola. Sola lei come gli altri. Ma con una pienezza di pensieri, di scoperte e di attese, per qualcosa che possa essere complementare, e che non sani semplicemente delle mancanze che lei si porta dietro dal giorno della sua nascita.

Un po' di musica e una scelta dovuta: lei.
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